Alessandro Agresti
Leggi i suoi articoliLa chiesa di San Nicola de Toffo in Campo Marzio sin dal 1471 venne affidata da Papa Sisto IV alla neonata confraternita dei Lombardi. Essa aveva una fondazione risalente al X secolo e in quell’occasione cambiò intitolazione: venne dedicata a Sant’Ambrogio, protettore della città di Milano, al quale di aggiunse san Carlo Borromeo dopo la solenne canonizzazione del 1610.
Proprio nel Seicento venne riedificato il primitivo edificio di culto nelle maestose e solenni forme che tutt’oggi ammiriamo: un cantiere alquanto sofferto, un po’ per la mancanza di fondi, un po’ per le ingerenze del colto e potente cardinale Alessandro Omodei.
Quindi dopo Onorio Longhi e Martino Longhi il Giovane il completamento della chiesa venne progettato da Pietro da Cortona, che ideò uno dei più sontuosi interni del Barocco romano: sue la cupola e anche le decorazioni della navata principale, in cui lo splendore dell’oro e in candore dello stucco di esaltano a vicenda, con un pittoricismo quasi illusionistico che trova poi il suo acme nei nastri che paiono sorreggere come in un apparato effimero il grande affresco di Giacinto Brandi con «La caduta degli angeli ribelli».
Uno dei pittori più sottovalutati del Barocco romano lascia qui la sua opera più impegnata per dimensioni e numero di figure: altrettanto interessante quella del catino absidale, con «San Carlo prega per la sparizione della peste», dove è porta una vivida e gustosa raffigurazione dalla quale risulta un’immagine della santità, del miracolo con un gusto dell’aneddotico, a tratti della scena di genere, che non dispiacerà in pieno Settecento al geniale Pier Leone Ghezzi.
Numerose le opere d’arte di pregio custodite nell’edificio: ad esempio l’unica pala d’altare del Morazzone visibile nella Capitale, una lunare e suggestiva «La Vergine e il Bambino appaiono a San Francesco», per non tacere dell’altra pala di Pier Francesco Mola con «La predica di San Barnaba», commissionata dall’Omodei in persona, venata di esotismo, dove tra uomini coi turbanti e un paesaggio al crepuscolo quasi irrompe l’enfatica figura del protagonista.
Sull’altar maggiore è uno dei capolavori di Carlo Maratti: come narra Bellori «Sì degna opera restò scoperta il giorno della Festività di S. Carlo, l’anno 1690. Come si disse il Concorso dei SS.ri Cardinali, e de Prelati, e Primati alla Corte, celebrandosi in quel giorno stesso in quella chiesa solennemente la Cappella, ove risuonò la fama di Carlo Maratti, portando egli il nome glorioso del Santo, se ne replicò il grido per la Città». Non possiamo ancora oggi non trovarci concordi col colto letterato nell’ammirare una delle più perfette «macchine» figurali del tardo Barocco romano, che farà scuola per tutto il secolo successivo.
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